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Il valore dell'art.18

La riforma del lavoro che sta per essere presentata in queste ore dal governo Monti e che ha nella rilettura dell'art. 18 il suo punto cruciale rappresenta, a prescindere dalle posizioni discordanti tra sindacati e imprenditori, un capitolo nuovo nella storia di questa repubblica. E, perdonatemi, rappresenta una nuova sconfitta generazionale. La prima avvenne in occasione della legge 30, nota anche come legge Biagi, quando ad essere piegati furono i ventenni che si affacciavano al mondo dell'occupazione, perdendo di fatto ogni tutela ed ogni prospettiva a lungo termine. Da quel momento, i giovani di questo paese entrarono in un dimensione diversa, fatta di rapporti di lavoro inediti. Nasceva l'esercito dei precari, rappresentato amaramente dagli operatori di call center laureati, costretti a lavori intermittenti. La sconfitta della giovane generazione, vittima, spesso, di ricatti di ogni tipo pur di portare a casa un (basso) stipendio.

In queste ore si consuma una seconda sconfitta: quella degli attuali 40-50 enni, ossia quelli che finora potevano godere di una certa tutela. L'abolizione dell'art. 18 è l'ultimo cedimento ad una serie di privazioni di diritti che si è sistematicamente compiuta. Alla perdita (di fatto) del Tfr e alla pensione rimandata sine die si aggiunge oggi anche questo. E non si dica che la modifica dell'art.18 non cambia nulla, nel mondo del lavoro. Perchè l'art. 18 non è solo un poco tollerabile e anacronistico sistema per tutelare i "fannulloni". L'art.18 è, soprattutto, un modo per mettere i lavoratori al riparo dai licenziamenti selvaggi. Da quel tipo di licenziamento che ora, invece, potrebbe avvenire se sei antipatico al tuo capo, se hai espresso un'opinione forte contro i tuoi dirigenti, se hai obiettato ad una scelta aziendale e via dicendo. O, semplicemente, perchè l'azienda ti vede cinquantenne e costoso, mentre un ventenne costerebbe meno. Da qui, passare ad una situazione di ricattabilità è un passo breve.
Facciamo due conti: i giovani sono stati colpiti. Gli adulti in età di lavoro pure. Chi rimane? Tolti i pensionati al minimo, rimane tutta quella parte di ultrasessantenni che, in tutta questa situazione, possono rimanere tranquilli. Quelli con pensioni medio-alte se non addirittura altissime. E che, magari, lavorano ancora facendo "consulenze". Ex-dirigenti statali, ex-parlamentari, ex-qualcosa. Gente dell'età di Monti. Gente che ha fatto il 68 e poi è finita nei salotti buoni. Insomma, quelli che ancora comandano in questo paese. Quelli che le promuovono, queste leggi. Quelli che dicono che sono cose giuste. Salvo poi sedersi in poltrona in attesa del prossimo assegno accreditato in banca. Ancora una volta, questa generazione anziana ha vinto e continuerà a comandare. Sono gli unici intoccabili in quest'Italia che perennemente rimane un paese per vecchi.
 
 
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